Larry Massino is back, dispartito, tornato at home. Un caloroso abbraccio a tutto il suo pubblico, Floarea, Davide, Rita, Francesco: meno dei 25 lettori che immaginava di avere Alessandro Manzoni, ma senz'altro più qualificati.

giovedì 9 agosto 2012

Non succede mai niente estate (post con periodici inserimenti)



i fratelli della Valle in una vecchia foto di repertorio, mentre trattano con un fotografo che vuole immortalare una delle loro prime imprese artistiche avute in custodia, la fontana di Emanuele Trevi (clic per vedere filmato)

Avvertenza ai turisti: non vi fate fregare, il Colosseo non è di Totò e Nino Taranto. Infatti, dicheno che a Roma si è fatto l'accordo: il Colosseo  è  stato "  concesso a Diego della Valle, in cambio di un finanziamento di 25 milioni Iva inclusa, l'esclusiva per 15 anni sul logo del monumento più amato e più visitato d'Italia ". Vorrà dire che chi  vorrà fotografare il Colosseo, d'ora in poi, dovrà trattare con Diego della Valle in persona? O va bene anche il fratello? Mica faranno come con la Fiorentina, che si vendono tutto?



Bertolaso al suo arrivo in Africa, mentre si fa aiutare a scegliere una massaggiatrice per farsi dare una ripassata

Dice  Guido Bertolaso che è emigrato in Africa, che vuole essere lasciato in pace. Senzameno. Solo volevo chiedergli di salutarci Walter Veltroni, se lo incontra. Lo dice in questa intervista  qui, rilasciata al  bollettino politico dei bar sport di tutta Italia, dove è scritto chiaramente che è colpa del Presidente Giorgio Napolitano, e che se c'era l'unico Presidente onesto che l'Italia abbia mai avuto, Sandro Pertini - uno che ebbe la tempra di nominare Bettino Craxi PdC e di tenerlo quattro anni senza farlo mai sgarrare - nessun mascalzone di giornalista si sarebbe mai permesso di scrivere che Guido Bertolaso, da ministro e capo della protezione civile, si è comportato come un gangster; lo stesso, nessun magistrato si sarebbe mai permesso di metterlo sotto processo.

Amico di Bertolaso circondato da africani poco convinti dal promesso arrivo di un messia da Roma.

Amico di Bertolaso spiega a giovani africane che fare le massaggiatrici professioniste non è un lavoro immorale


recente ritratto di Roberto Savianarola

LA VERITÀ E' CHE questi comportamenti non sono altro che il segno tangibile della crisi istituzionale che ha caratterizzato la Seconda Repubblica sin dagli inizi, che si è consumata e manifestata in maniera evidente nella dialettica violenta, costante e sempre sotto traccia, tra Politica e Giustizia. Su questa tensione ha giustificato la propria esistenza politica Silvio Berlusconi, soggetto plurinquisito, pluri-sospettato, che ha avuto tutto l'interesse a sovvertire, con la sua stessa presenza in politica, il concetto di persecuzione. Concetto traviato e strumentalizzato nel corso degli anni, cui prima o poi dovremmo restituire dignità. (Dalla rubrica L'Antitaliano sull'Espresso di questa settimana clic)

Invece LA VERITA' E' CHE  se uno scrittore  scrive in un articolo che vuol restituire dignità alla persecuzione, o è poco preparato o non sa scrivere. Secondo me ambedue le cose. Però, nel  suo caso di scrittore, la seconda è più grave,  perché la scrittura non è proprio il suo campo. Niente di male, è giovane. Potrebbe provare con la musica, con la pittura, con la scultura o con la frodografia...


Coelho e segretaria mentre mettono in ordine la produzione letteraria di un mattino

Da un frodografo a un altro. Paul Coelho su James Joyce: «Oggi gli autori scrivono per impressionare i loro colleghi. Uno dei libri che ha causato questo male all’umanità è stato l’Ulisse, che è soltanto stile. Non c’è nulla, lì dentro» (qui l'articolo di Ida Bozzi sul Corriere). Benedetto il cielo: se io ignobile  pedatore dicessi che Maradona ha giocato a calcio solo per impressionare i suoi colleghi, che è stato sopravvalutato, non mi piglierebbero tutti a sputazza?  Nel letterativo, al contrario,  un modestissimo penninmano come Coelho può dire che Joyce... Che dire? Tante  persone impreparate  hanno scritto un inutile romanzo - o vorrebbero scriverne uno,  senza peraltro  possedere neanche un briciolo del necessario temperamento artistico. Tra queste,  quelle che ho incontrato io personalmente, tutte  leggono robaccia come Coelho o Livingston o Tamaro o Baricco. In effetti questa è la funzione di questi scrittori qua: parificare chi scrive a chi legge, mandare il messaggio che tutti possono scrivere, che tutti siamo artisti ecc ecc. Marketing, nient'altro che marketing:  sembrano dire, questi penninmano, che intanto i futuri artisti comprino i romanzi che loro fornisce l'industria editoriale (i loro medesimi...),   ché prima o poi essa si occuperà anche dei testi degli aspiranti, e li renderà ricchi e felici, e li metterà  al centro dell'attenzione come meritano... Ma così non è, e non può essere... Insomma, come sempre gli editori stanno fregando i lettori, con la complicità di un po' di penninmano. E poi dice che la gente segue il calcio invece di leggere...

Ps: ad ogni modo è vero che Joyce ha scritto più che altro per i suoi colleghi (pochi). Ma se  qualche penninmano lo vuol leggere, così come qualche lettore, non c'è nulla di male, anche saltando le pagine che trova faticose. Però una domanda mi sorge spontanea: in  Dedalus, Gente di Dublino, gran parte dei capitoli di Ulisse, cosa c'è di così faticoso? E se per assurdo il merito di Joyce fosse solo quello di aver scoperto Italo Svevo, non sarebbe già solo per questo almeno 500 volte più importante di Coelho, per la storia della letteratura?

Post a puntate di Larry Svizzero e Larry Francisco Romero de Santis  Viendalumèr


venerdì 3 agosto 2012

L'empatia di Roberto Saviano



Lettore empatico

Si sbaglia sempre tutto. In fatto di empatia, per esempio, io mi credevo che fosse una cosa brutta  metterla al centro della propria visione estetica. Perché ero rimasto a Bertolt Brecht. Figuriamoci, uno che quando nacque lui mica c’era  da combattere la criminalità comune, con le parole... C’era da combattere un intero atteggiamento criminale della società borghese, la quale fregava gli oppressi, secondo Brecht, anche costringendoli a partecipare alle proprie passioni, attaverso le opere d'arte, anche intese come opere fatte per favorire  il comune divertimento, come gran parte di quelle prodotte per il cinema e il teatro. Per questo introdusse lo straniamento, B.B., che sarebbe quella cosa lì per cui messo di fronte a un evento  lo valuti adoperando strumenti analitici invece che immedesimarti e parteciparvi a tua volta in maniera emotiva. 

Mettiamo che noi ora si mette in moto il favoloso concetto di  straniamento per valutare le eroiche gesta di Roberto Saviano, il quale dice sempre che la criminalità ha paura delle parole. La passione, in effetti, il bisogno popolare di fabbricare eroi, ti fa credere che sia così: il valore della testimonianza civile e qui e là. Invece, distaccandosi e  rovesciando la questione in termini analitici, appare  abbastanza chiaro che  le organizzazioni criminali  hanno paura  più che altro dell'autorità giudiziaria e della forza delle polizie. Al contrario, hanno tutto l’interesse a che lo scrittore impaurista internazionale Roberto Saviano goda del massimo di autorevolezza e visibilità, in modo che  faccia loro da gratuito testimonial. Perché? Da una parte non rivela nulla di più di quanto tutti sappiamo (chi sta nelle zone calde ne sa molto di più, e in maniera più precisa, di quanto ne sappia  lo stesso  Saviano), peraltro descrivendo le singole organizzazioni criminali come così potenti che non c'è maniera distruggerle, andando ad accrescere, presumo, il super io di ogni singolo malamente; dall’altra lo scrittore è un magnifico deterrente per chiunque abbia da fare  contro una qualsiasi organizzazione o qualsiasi singolo criminale, perché se uno che ha scritto un libro limitandosi all’indignazione deve girare con la scorta e vivere nelle caserme, cosa dovrà fare un giornalista che certi fatti li descrive quotidianamente, o un magistrato che incrimina, o un poliziotto che arresta, o un giudice che condanna, o un taglieggiato, o un normale testimone di giustizia?  

Brecht, che lottava contro la criminalità in quanto tale e non solo contro la criminalità sciagattata dei disgraziati, direbbe che è così come appena descritto perché il giovane Roberto Saviano sbaglia atteggiamento intellettuale. Da scrittore, infatti, da scrittore politicamente impegnato, ti devi battere a favore degli oppressi, contro tutte le oppressioni, contro il concetto stesso di oppressione. Se non assimili questo principio, prima di immergerti nelle lotte particolari, alla camorra o a che altro, il rischio di diventare strumento favorevole all'organizzazione oppressiva che ritieni di combattere è troppo grosso. Ti devi battere, per esempio,  anche a favore degli scrittori oppressi dal processo industriale editoriale  del quale  hai parte non secondaria. Come ti devi battere, da accolto dalle massime autorità israeliane,  per vincere l'oppressione subita dal popolo palestinese. Per dire... D’altra parte, e rimanendo al campo delle teorie intellettuali,  i malamente avrebbero un magnifico strumento a disposizione per mettere i bastoni tra le ruote a  Saviano, se lo considerassero avverso ai loro interessi stramiliardari: la critica letteraria. Basterebbe  analizzare quello che scrive, da Gomorra in poi, per assai diminuirlo nell’autorevolezza, per via che troppo spesso Saviano manca il bersaglio, vuoi in termini estetici, vuoi  giudiziari o politici.  Ma anche qui, se i malamente  non lo fanno, questo lavoro di analisi letteraria, vuol’egli dire, secondo me, che le cose gli vanno bene a questa maniera, se no, attraverso una delle miriadi di emanazioni nel culturale,  si rivolgerebbero a uno come  me, che pure sto (senza accento) sul mercato; ma in verità no  a uno come me, che sono ingestibile e voglio sempre fare come minchia mi pare, uguale a un Cardano qualunque (se non l’avete ancora fatto, leggete il romanzo  Di questa vita menzognera, di Giuseppe Montesano, che affronta il tema della criminalità organizzata in termini tutt'altro che imprevedibili, ma assolutamente originali; peraltro bisogna onestamente dire che il secondo me grande scrittore Montesano si dice sempre ammiratore di Roberto Saviano).  

Torniamo all’empatia, questo antico strumento di trascinamento degli oppressi nel campo di dominio degli oppressori (dico così, per dare un po’ di enfasi al discorso...). Empatico sarebbe quell’atteggiamento secondo cui leggo un’opera d’arte - come dovrebbe  essere anche un  romanzo -  completamente immerso, immedesimandomi nelle  necessità del suo autore, ma anche di quelle del suo narratore interno, o delle vicissitudini  dei suoi molteplici personaggi. E non la leggo, l’opera,   valutandola per quelle che sono le mie necessità  e vicissitudini di attore, lettore, spettatore, interprete, studioso, critico, osservatore. Un'opera, secondo la teoria di B.B.,  va letta   estraniandosi dall’effetto illusorio che essa contiene, per farla divenire parte del processo artistico e sociale all’interno del quale essa avviene  (Brecht era un po' complicato, ma ragionava bene). Senza estraniamento, diceva Brecht, il processo artistico è falsato. Più precisamento Brecht diceva che è attraverso l’empatia e l'immedesimazione che si falsa la realtà (e adesso, Saviano, come la mettiamo?).   

Ora, questo pezzo lo sto scrivendo non tanto per dire Saviano qui Saviano là, ché l’ho già detto mille volte...  ma perché girellando in rete ho trovato un articolo di uno dei critici più accreditati, Marco Belpoliti, che ha proprio questo titolo: empatia. Lì per lì ho pensato che non avrei dovuto farmi fregare sul tempo, che avrei dovuto farlo io l’articolo sull’empatia. Messa da parte la normale quota di narcisismo, però, mi sono risollevato:  vai, ho pensato, ora gliene dice, Belpoliti a Saviano, di Brecht e dello straniamento; ora gliene dice che dal punto di vista estetico parlare di empatia è reazionario, equivale a riportare le lancette indietro di più di un secolo e tornare al naturalismo ottocentesco;  ora gliene dice che è uno scrittore retrogrado (il che non ci sarebbe nulla di male, intendiamoci,  ma con l’empatia risulta anche uno scrittore non realista, almeno nel senso del realismo come disciplina conoscitiva, basata sul materialismo scientifico). Insomma, ho pensato, questa volta è impossibile che Marco Belpoliti non gli dica a Roberto Saviano che di fatto è uno scrittore spiritualista, che non per caso fa leva  sulla fede sua e quella dei suoi lettori spettatori (Brecht gliela avrebbe detta così, pari pari). Poi ho letto  l’articolo (clic). Lo cita, ma non gliene dice. Quello che è peggio, secondo me, è che non gliene fa nemmeno intendere...


Bertolt Brecht: " Le sofferenze non fanno del malato un competente di medicina, e non basta il guardare dappresso, né il guardare da lontano, perché il testimone si trasformi in esperto " (Scritti teatrali, p. 188,  PBE Einaudi, 1979)

Qui un articolo piuttosto endorsement di Giuseppe Montesano su Roberto Saviano


Post del critico ufficiale dell'accademia,  Larry Francisco Romero de Santis  Viendalumèr