Larry Massino is back, dispartito, tornato at home. Un caloroso abbraccio a tutto il suo pubblico, Floarea, Davide, Rita, Francesco: meno dei 25 lettori che immaginava di avere Alessandro Manzoni, ma senz'altro più qualificati.

lunedì 27 settembre 2010

Mangiate di meno



Nel porcile  c’erano due che stavano sempre da parte, che dagli altri del branco venivano considerati fanatici,  perché grugnivano con ritmo ricercato, leggevano appartati per ore, a sera danzavano sulle punte degli  affusolati  zampetti. Venivano considerati  altezzosi anche perché riprendevano, con aristocratiche occhiate, le scorrettezze dei più maleducati, di solito i giovani, che si ingrifavano per un nonnulla e diventavano osceni. I due nobili suini, bisogna dire, venivano da tutti rispettati,  come si fa con la gente di alto rango, anche se  dietro le spalle venivano chiamati maliziosamente  il Vecchio Maiale e la Vecchia Maiala, alludendo forse alla loro gioiosa sessualità, comunque mai sfrontata, non certa alla stazza. Infatti,  mangiando poco e nulla, i nostri eroi erano i più magri, avendo capito che scansare il cibo era l’unico modo per ritardare la propria persecuzione, visto che tutti, appena grassi, venivano rastrellati e non tornavano più: «non mi garba!», era il loro motto signorile, con il quale respingevano il cibo allontanandosi dal trogolo, facendo un deciso segno di diniego alzando al cielo la  zampetta sinistra.

La coscienza politica del  Vecchio Maiale e della Vecchia Maiala si raffinò sempre  più: nei libri della porca  storia avevano letto che nel passato erano vissuti maiali detti radicali, che predicavano il digiuno totale, ma con quasi nessun seguito. Loro così radicali non erano, ma si definivano liberali individualisti oppositivi estetici, perché ci tenevano anche alla bellezza. Perciò  seguivano le diete, e facevano sport, tanto sport, derisi da tutti quanti, sempre alle spalle.

Restare in linea dava tanti vantaggi ai nostri eroi: si veniva curati, portati via dal porcile tante volte a fare passeggiate dai sempre più straniti maialai addetti al pastone, chiamati nel linguaggio aulico   maialai alla cultura. Essi  erano come i maialai di prima, ma in più avevano una qualità molto apprezzata nel piatto tempo recente:  non capivano, erano gli ingegneri del non capire, testardi, che  più non capivano più volevano far mangiare i propri porci,  e buttavano copiosa la cultura nel trogolo, e li accompagnavano per boschi pensando che per loro fosse più adatto il mangiare naturale.

Venivano tanti a studiarli, il Vecchio Maiale e la Vecchia Maiala,  anche perché stavano tanto tempo, seduti eleganti all’indiana, con le zampette posteriori incrociate,  a parlare di Carmelo Bene, che i maialai alla cultura credevano  e credono  ancora sia un personaggio della loro immaginazione malata. Bisogna avvertire che qualche maligno sostiene che con la scusa dei maiali magri, gli studiosi vengano al porcile per studiare di nascosto i nuovi maialai alla cultura.

I nostri  erano contenti: per non sfigurare con gli studiosi,  li tenevano sempre lavati e li grattavano ovunque quando ce n’era bisogno. Addirittura li portavano ai convegni scientifici. Una volta anche per il cielo. Insomma, li trattavano come certi conigli di cui si leggeva nella letteratura porcghese, sempre a far party nei castelli, a ridere e farsi pettinare la cresta dalla loro principessa, che gli curava anche le unghie. Sticazzi. Ci fu uno scienziato che li chiamò porci anoressici, perché si era accorto che vomitavano appartati, dopo aver mangiato claustrale. Altri osservatori, per via che i due leggevano tanto, li definivano scherzosamente Maiali di Pordenone, ma essi non capivano la spiritosaggine, nonostante tutti  intorno a loro ridessero. Il maialaio poeta, l’unico  rimasto, Charles les Monnier,  li prendeva in giro per la loro magrezza, cantando loro in  rima baciata:

cari maiali  se aveste più ciccia
troppo meglio verrebbe la salsiccia!

Insomma, rispetto agli altri della famiglia, sempre chiusi nella recensione, quella di  uno dei soliti  romanzetti da quattro soldi, camera e cucina  in un quartiere di periferia degradata, i due maiali burberi facevano bella vita. In più avevano un’anima sociale, si informavano, partecipavano. Però si incupivano, venendo per esempio a sapere dagli approfondimenti giornalistici di porca a porca che  la magistratura era corrotta, che si doveva faticare assai per  trovare un giusto processo, che le inchieste sui potenti finivano tutte alla procura romana, detta il porco delle nebbie. Allora si estraniavano, cercavano di rifugiarsi negli svaghi. Vacanze? Ultimamente in porcogallo, porcocervo, porcovenere. Tempo libero? La sera il  Vecchio Maiale e la Vecchia Maiala andavano spesso al cinema. Il film  basilare della cinematografia sovvenzionatoria era “ Fronte del porco “. Ma  a teatro, sopra di tutto da quando avevano messo il maialaio alla cultura ingegnere, non c’era verso andare, perché il teatro non era più burocratizzato come prima, anzi, era sì burocratizzato dagli umanisti, maanche,  cretinizzato dagli scientifici. Gli mancava tanto il teatro, a lei, che il teatro veniva prima di ogni altra cosa, in maniera speciale  un testo anglosassone, il pig malione. Alla fine  si rifugiarono nella spiritualità: in teologia  si riferivano alle teorie gianseniste di porc royal, maturando uno spirito fortemente ribelle e contestatario. Bastava guardarsi un po’ intorno: non c’era nulla che andava bene! Ne avevano parlato a lungo tra loro due  e si erano messi in testa di fare una rimostranza. Un giorno, a fine pasto che prima non c’è verso farli ragionare,  radunarono i porci e si misero a fargli un bel discorso: «la cultura ci danneggia, cari maiali, bisogna ribellarsi e smettere tutti insieme di pigliarla, tutto d’un colpo» ma gli altri della famiglia capivano poco del ragionamento, che non faceva che aumentare il disprezzo che provavano per i loro parenti snob. «Bisogna diventare esseri più spirituali, il morso della fama vedrete ci passerà presto» continuarono «nessuno di noi verrà più rastrellato e deportato dai maialai alla cultura, finiranno per lasciarci liberi di grufolare bellezza nel bosco dell’arte, in stato selvatico!» Ma gli altri si erano già tutti dispersi, pensando che gli attempati magri fossero impazziti a parlare in quel modo, che nel mondo c’era tanta fama e che c’era poco da snobbare il trogolo.

Quanto descritto allabellemmeglio successe tanto tempo fa. Il Vecchio Maiale e la Vecchio Maiala sono ancora vivi, in forma che vanno ancora in bicicletta, ma vivono nel porcile sempre più appartati e immalinconiti: non li si  studia nemmeno più, li si considera esemplari rari, fenomeni, funamboli, straordinari, come a  dire che è inutile prenderli a esempio. Ma in silenzio rimuginano, come fanno tutti  i vecchi, non capiscono perché nessuno volle dargli retta a suo tempo, nella famiglia, nella  quale    continuarono a sparire esemplari grassi in quantità. Adesso che altro  possono fare? Hanno amaramente preso coscienza che nessuno vuole protestare davvero, nessuno vuole fare lo sciopero della fama. In fondo la situazione va  a tutti bene com’è, vogliono godersela, pur nella breve vita nella recensione del porcile. A nessuno dei loro simili interessa vivere veramente la bellezza fino in fondo, così pare. Si indignano, qualche volta, ma poi non fanno un cazzo. A proposito, il Vecchio Maiale si è  anche stancato del sesso, e si apparta per conto suo tante volte a cantare: «Tutto il resto è gioia, no,  non ho detto noia, ma gioia, gioia, gioia, maledetta gioia». 

martedì 21 settembre 2010

Totò


«Il comico è la lotta tra il bene e il male con la vittoria finale della vigilanza notturna»

domenica 19 settembre 2010

Ombrino


Si viene a sapere – che certe cose si viene a saperle subito – una strana avventura capitata a un'ombra maschio giovane, un Ombrino, che in quanto tale passava dappertutto e dappernulla, stabilendosi in tanti luoghi e tempi contemporaneamente, che starebbe più o meno per un essere che si appalesava ubiquamente e cronequamente.

Ombrino era nato in Toscana, giusto per spiegare il motivo di alcune parole e alcuni pensieri di inflessione dialetta, che descrivono meglio dei loro omologhi nazionali.

L'Ombrino aveva da fare nulla fino al tramonto, quando doveva, per sua natura, andare a riposare. Ma era piccolo, appena appena svezzato, non sapeva nemmeno come passano le giornate quelli che hanno sempre tanto da fare nulla. Ignorando ignorando, capì che tanti di quelli si occupavano della  letteratura in rete. Scrivevano romanzi, racconti e  poesie? Macché! Facevano i ragionamenti su i' letterativo, e guai a contraddirli. Infatti Ombrino, che il soprannome se l’era meritato anche per via che ci aveva un carattere ombroso e non poteva farammeno di ombreggiare, capì subitaneo, appena cercò di avvicinarli, che si trattava di gente altera, che s'arrabbiava per un nonnulla,  che scriveva solo nelle pause, il resto del tempo parlava  attaccata a un coso che  chiamavano qualche cosa più less, dicendo solitanei: «massì, no, massì, no, no, no, massì», e smettevano. Poi ripigliavano: «non se ne parla nemmeno, mi lasci perde’ tempo quanto mi pare! Oh, la 'un lo vede  quant'e 'un c'ho  da fare nulla?!».

Volere o volare, a Ombrino gli toccava passarla la giornata, da qualche parte. Però questi, che erano parecchiamente spocchiosi e si vantavano di avere sempre da non fare nulla nella letteratura, ci avevano due nomi; invece lui uno solo, Larry, che si era dato i primi mesi di girovagare. La prima cosa, capì, per presentarsi in società, era il secondo nome. Decise massì no, come ripetevano al less più qualche cosa  i boss letterativi. Larry massì no, Massino.

Con questo nome si presentò e disse la sua, nella rete, perché aveva visto che si faceva così tra quelli che hanno tanto da fare nulla: si scriveva quello che si pensava del letterativo e compariva il commentino a farombra a un ragionamentino più grosso, fatto da uno che non ci aveva da fare nulla nemmeno lui, che riteneva però   un nulla più importante.

venerdì 17 settembre 2010

Applausi

Una notizia mi aveva colpito qualche anno fa. Avevo letto che in una grande piazza di un paese arabo, o mediorientale, forse l’Iran,  più di 10.000 (diecimila) persone avevano partecipato, in assoluto silenzio, per ore, a una lettura in versi fatta dal maggior poeta iraniano a voce nuda. Mi ero meravigliato, tanto, della forza di un simile evento artistico. Ma, ripensandoci stamattina, mi sono detto: coglione, non è possibile portare la voce nuda a diecimila persone. Vi assicuro, un po' di esperienza di voce a teatro ce l'ho: non è possibile, massimo qualche centinaio! Allora che ci facevano tutte quelle persone? La risposta che mi do adesso, che tento di darmi,  è che ascoltavano il silenzio, le voci del silenzio, almeno si predisponevano a farlo, forse  sapendo che l'emozione poetica sta anche e più  nel silenzio, nei suoni appena percepiti, che nelle parole, soprattutto nei loro contenuti.

Quando ancora imberbe, me medesimo, praticavo l'arte dello spettatore a teatro (anche allo stadio andavo, non crediate...), mi infastidivano gli applausi, anche le grida dei tifosi allo stadio, dai quali mi tenevo a distanza di (in)sicurezza. Non sapevo perché. Forse ho cominciato a comprenderlo quando mi sono trovato dall'altra parte, pur rimanendo devoto agli attori avversi agli applausi, pur avendo follemente immaginato di imporre al pubblico, alla fine dei miei spettacoli, una sorta di divieto all’applauso. Un comico a me caro, per esempio, li fermava, infastidito, dicendo al pubblico: «gli applausi ce li fate dopo, all'uscita, direttamente in faccia!» (Chiedeva anche se c'era qualche ragazza disposta a fare all'amore con lui, mai appagato, ma è un altro discorso).

Penso ai patiboli, agli applausi della folla  che coprivano le grida dei condannati, ma soprattutto, credo,  scacciavano il salire dell'emozione nei corpi dei singoli spettatori. Anche a teatro, come altrove, stamattina ne sono certo, gli applausi servono al pubblico, al popolo,  per scacciare il demone, per scacciare quel brivido emotivo che lo ha scosso nell'anima, il cui problematico contenuto di vita lo inquieta più di ogni altra cosa: il popolo vuole emozioni facili, religioni facili, rivoluzioni facili, tutto facile vuole il popolo.

Gli applausi servono agli individui che compongono la folla, il pubblico, il popolo, per dimenticare le possibilità che si hanno, gratis e senza ANTENNA PARABOLICA, di cambiare livello di percezione, di passare dalla realtà al reale, di reclamare e produrre realtà supplementari, che stanno a miliardi dentro e fuori ognuno di noi.

Gli applausi contribuiscono ad anestetizzarci, per farci uscire  puliti da qualunque esperienza di vita, pronti a ripiombare nell'insoddisfazione quotidiana. Pronti a partecipare, semmai, al vigliacco gioco dell'indignazione periodica, che è l’altra faccia dell’applauso, non a caso tra le poche  azioni concesse al popolo dai gestori del carnevale.

Un  individuo che applaude da solo lo riteniamo tutti un idiota, ci suscita derisione, compassione e pietà. Lo stesso sarebbe  se ci sforzassimo di considerare un pubblico come corpo unico, diciamo come unità sociale?

Come folla, pubblico, popolo, dovremmo qualche volta provare ad accogliere l’emozione in assoluto silenzio, giusto per vedere che effetto che fa.

mercoledì 15 settembre 2010

Populismo

Siamo in un ospedale. C'è aria di rivolta. I malati tramano nei corridoi, applaudono qualunque dottore specializzando che passi, si chiudono nelle stanze, nascosti a rivoluzionare per ore. I più rifiutano le terapie dei primari, vogliono dottori giovani, si accontentano anche di infermieri civili, ma di quelle carogne dei professori non ne vuol sapere più niente nessuno. Dalle sale cospiratorie entrano ed escono infermieri e portantini. A volte si sente gridare. Girano elenchi dettagliati di presunti errori chirurgici degli oligarchi, pubblicati sul giornaletto sindacale dell'associazione malati del popolo,  LO STRAFATTO SETTIMANALE. Bisogna fare qualcosa. Chi deve operare chi? Deve decidere il popolo. Primarie del popolo!!! I chirurghi sono indignati e non si turano il naso: se ne presentano solo due, e non tra i migliori. Si presentano anche tre giovani dottori specializzandi, carini, un centralinista calvo, il presidente della cooperativa portantini, tre malati popolari cronici, e, infine, la candidata più popolare e temuta, la cassiera del bar, Chiara, una bella signora biondo-irriverenza che quando batte lo scontrino a un qualunque chirurgo, urla sempre al barista, in romanesco: " A Fra', 'n cappuccino e 'na brioscia ar macellaio! ". Si è votato. Partecipazione altissima. Le primarie sono andate come dovevano andare: i chirurghi sono arrivati ultimi, appena dietro ai giovani. E' finalmente venuto il tempo del popolo, è venuto il tempo di Chiara, che aveva scaldato l'elettorato con lo slogan " Nuove terapie popolari  per tutti! ". Gli elettori fanno cagnara nelle corsie, bevono, cantano, abbracciano. Chiara, anche in collegamento diretto con il popolo che Hanno Zero, prima di prendere il suo posto in sala operatoria ha fatto un commovente discorso di ringraziamento, sempre in romanesco, finendo con una sibillina frase che amplificata dagli schermi tv farà riflettere il paese intero: “ AMMAZZETE QUANTO  SEMO STRONZI!!!

martedì 14 settembre 2010

Tragicomico

Da alcuni articoli  apprendo ciò che so da sempre, cioè che molti  letterati  sono contrari alla comicità, per l’esattezza sono stanchi degli atteggiamenti derisori, dell’ironia, del sarcasmo ecc. E’ da non credere, ma ci sta. Primariamente perché far ridere è un’arte difficile, che si pratica (si dovrebbe praticare) con il corpo, che è il vero bersaglio della polemica contro il comico dei letterati stessi, che ce l'hanno con il corpo sostanzialmente perché  la loro lingua ne è quasi sempre priva. Farebbero meglio, gli intellettuali, a prendersela con l’umorismo mediano, militarizzato, embedded, mentale, quello di striscia la notizia, per esempio, ma in genere tutto l’umorismo televisivo, compreso quello definito satira politica, scaduto a livelli impensabili per un paese nel quale già negli anni ’60 si potevano gustare esperimenti di enorme qualità artistica, da Tognazzi-Vianello, a Panelli ai Gufi. E farebbero meglio, gli intellettuali e gli scrittori, a cercare di capire perché in questo paese è vacante il ruolo di tragicomico, l’unica espressione del comico veramente decisiva. L’ultimo è stato Massimo Troisi, che secondo me, come narratore e critico della attuale degenerazione dei costumi, manca quanto e più di Pasolini.

lunedì 13 settembre 2010

Lautréamont, poesie 1


Trasmettete a chi vi legge soltanto l'esperienza che nasce dal dolore, e che non è più il dolore stesso. Non piangete in pubblico.

domenica 12 settembre 2010

Nineddoche 29

Bisogna fare come il vecchio Dio della bibbia, creare il mondo dal nulla. Nulla ne abbiamo in quantità.

sabato 11 settembre 2010

Dialetto

Vi dico che quando Benigni parlava la sua lingua, con metrica e suoni un po' inventati un po' riportati, era una Apocalisse espressiva. Dopo ha barattato quanto aveva di più originale con un italiano comprensibile, dai suoni assolutamente falsi, ed è diventato un fatto di cultura. Certo, rimane il suo corpo in dialetto, e tanto basta a collocarlo tra i comici grandissimi, Chaplin, Keaton, Totò, Troisi e pochi altri. Però è lecito domandarsi: come ha potuto, un artista del suo calibro,  accettare di diventare più che altro  un intrattenitore? Chi o cosa l'avrà costretto?

mercoledì 8 settembre 2010

Nineddoche 22

Ragionamento ricavato dai verbali di un processo siciliano, giuro che non me lo sono inventato: "Io non so nulla, ma se questo stesso nulla potesse portare pregiudizio alla mia persona, ne so ancora di meno".

lunedì 6 settembre 2010

Intervista immaginaria a un attore bravo

E' contento dell'accoglienza che ha ricevuto il film?
 
Sono sempre contento di un film che interpreto, anche quando viene accolto male, dato che ho scelto di farlo.

Cosa risponde a chi vi contesta perché  il film è prodotto dalla casa di produzione  del presidente del consiglio?
 
In Italia il cinema lo produce gran parte Medusa. Io non posso farci niente: mi limito a provare disprezzo per le menzogne  diffuse e propagandate dal sistema editoriale del  presidente, per lui medesimo, per la gente di cui si circonda, per lo stile di vita che propaganda anche usando i suoi figli,  che condanno parimenti, perché essendo adulti potrebbero sottrarsi. Mi limito a odiarlo per  il suo modo di governare, e votare per altri partiti. 

Non teme ritorsioni per questa sue dichiarazioni, diciamo un po' forti?
 
Le temo, ma non posso fare a meno di farle, perché non posso fare a meno di avere un'etica: senza etica, dice il maestro Peter Brook, non c'è arte.  

Non si domanda perché Medusa produca un film così critico verso il sistema di potere del suo proprietario, il presidente del consiglio, che dalla distruzione della sua immagine ha da perdere molto, soprattutto all'estero?
 
Me lo domando,  ma non so darmi una risposta. Alla fine credo che se Medusa produce e distribuisce questo e altri film critici, vuol dire che non  sono così nocivi al proprietario... che così facendo, se non  altro, copre il suo autoritarismo, quello contenuto nelle sue azioni e più ancora quello che credo sia nei suoi sogni. O forse sono i dirigenti di Medusa che fanno tutto fregandosene del pensiero politico del proprietario? Non credo, ma penso che qualcosa sfugga loro lo stesso
 
E poi c'è il marketing, parlatene male purché se ne parli.
 
Non so cosa sia il marketing, faccio l'attore, meglio che posso.
 
Lei è una persona di sinistra?
 
Non so, direi di sì, se per sinistra si intende ridistribuzione della ricchezza, che è quello che vuole il popolo, dal quale io provengo essendo figlio di un operaio.
 
Altrimenti?
 
Beh, quando  il popolo lo si distoglie con la bandiera dei diritti, con gli inquisitori che diventano politici moralisti, coi satirici urlanti, allora mi vengono dubbi sulla onestà di alcuni politici che vengono percepiti come nuovi... In particolare odio la retorica antipartito e antiprofessionale: la politica è il mestiere più difficile che c'è, perché dovrebbero farla dei dilettanti, se non per inconfessabile sete di potere?
 
Non ha paura di deludere facendo queste dichiarazioni?
 
No, perché i diritti, per esempio,  sono già  contenuti nella ridistribuzione della ricchezza, mentre non vale il contrario. Quando si dimentica questo, credo si facciano gli interessi della destra,  che è cinica. Alla fine alla fine agli urlatori dice: “ va buò, pigliatevi sti diritti e nu scassate 'o cazz coi profitti! “

Torniamo al cinema. Lei è un attore considerato impegnato. Come vive questa cosa?

Bene, perché so quanto impegno ci metto a fare il mio lavoro. Se invece la sua domanda si riferisce alla partecipazione alla vita politica dico che non ci partecipo tanto, che se ce la faccio evito di informarmi, evito in particolare la tv, preferendo ascoltare  musica, leggere, andare al cinema o a teatro. 

La ringrazio.

Grazie a lei. E anche  al proprietario della testata per cui lavora, chiunque sia, del quale, benché mi dia la parola,  penso preventivamente tutto il male possibile, fino a prova contraria... (risata)

sabato 4 settembre 2010

Crisi della cultura

Veltroni lo spiego con un esempio che i ragazzi capiscono benissimo. Noi tutti siamo concordi nel considerare il calcio uno sport, una pratica agonistica quasi senza senso, ma una fonte di emozione irrinunciabile. Mettiamo che un giorno arriva Veltroni – proprio lui, il mago all'incontrario, che è uno che queste cose le fa bene – e lo fa sparire, fuff, calcio sparito da un momento all'altro: “ VOTATEMI!!! “ E noi, a unisono:  “ Con il cazzo che ti si vota, Veltroni, tu ci hai levato l'emozione! “ Allora lui, che in fondo in fondo ha uno spirito buono, capisce. Con fare paterno, educativo - anzi, rieducativo! - ce lo rende il calcio, ma non come sport uguale a ora, cioè cosa viva, ma come Cultura del calcio, da esporre tipo museo. Noi che faremmo, andremmo allo stadio  museo a vedere le partite costruite dai registi di grido di fede veltroniana, come succede ora con la disprezzabile cultura,  o ci lasceremmo andare quegli idioti dei turisti, inventandoci un'altra fonte di emozione? Ricordate tutti che la lirica era un'arte che emozionava popoli interi, non tanto tempo fa. Lo stesso la poesia. Adesso sono  cultura che il popolo ignora. Chi ci ha guadagnato? Secondo me c'è qualcuno che frega! Aperto il sondaggio cultura o emozione. NON VOTATELO!



PS: neanche in Africa lo vogliono...

venerdì 3 settembre 2010

Nineddoche 1

E’ scritto: Dio creò il mondo dal nulla. Non è chiaro chi creò questo nulla.

mercoledì 1 settembre 2010

Nineddoche 14

Notoriamente, secondo il principe  Myskin, la bellezza salverà il mondo (essendo passato tutto questo tempo, l’avrà già salvato!). Ma il mondo salverà a sua volta la bellezza? Chi ci salverà dalla bellezza una volta finita in mani sbagliate? E d’altra parte, cosa ne sarebbe della bellezza senza mondo?