Lettore empatico
Si sbaglia sempre tutto. In fatto di empatia, per esempio, io mi credevo che fosse una cosa brutta metterla al centro della propria visione estetica. Perché ero rimasto a Bertolt Brecht. Figuriamoci, uno che quando nacque lui mica c’era da combattere la criminalità comune, con le parole... C’era da combattere un intero atteggiamento criminale della società borghese, la quale fregava gli oppressi, secondo Brecht, anche costringendoli a partecipare alle proprie passioni, attraverso le opere d'arte, anche intese come opere fatte per favorire il comune divertimento, come gran parte di quelle prodotte per il cinema e il teatro. Per questo introdusse lo straniamento, B.B., che sarebbe quella cosa lì per cui messo di fronte a un evento lo valuti adoperando strumenti analitici invece che immedesimarti e parteciparvi a tua volta in maniera emotiva.
Mettiamo che noi ora si mette in moto il favoloso concetto di straniamento per valutare le eroiche gesta di Roberto Saviano, il quale dice sempre che la criminalità ha paura delle parole. La passione, in effetti, il bisogno popolare di fabbricare eroi, ti fa credere che sia così: il valore della testimonianza civile e qui e là. Invece, distaccandosi e rovesciando la questione in termini analitici, appare abbastanza chiaro che le organizzazioni criminali hanno paura più che altro dell'autorità giudiziaria e della forza delle polizie. Al contrario, hanno tutto l’interesse a che lo scrittore impaurista internazionale Roberto Saviano goda del massimo di autorevolezza e visibilità, in modo che faccia loro da gratuito testimonial. Perché? Da una parte non rivela nulla di più di quanto tutti sappiamo (chi sta nelle zone calde ne sa molto di più, e in maniera più precisa, di quanto ne sappia lo stesso Saviano), peraltro descrivendo le singole organizzazioni criminali come così potenti che non c'è maniera distruggerle, andando ad accrescere, presumo, il super io di ogni singolo malamente; dall’altra lo scrittore è un magnifico deterrente per chiunque abbia da fare contro una qualsiasi organizzazione o qualsiasi singolo criminale, perché se uno che ha scritto un libro limitandosi all’indignazione deve girare con la scorta e vivere nelle caserme, cosa dovrà fare un giornalista che certi fatti li descrive quotidianamente, o un magistrato che incrimina, o un poliziotto che arresta, o un giudice che condanna, o un taglieggiato, o un normale testimone di giustizia?
Brecht, che lottava contro la criminalità in quanto tale e non solo contro la criminalità sciagattata dei disgraziati, direbbe che è così come appena descritto perché il giovane Roberto Saviano sbaglia atteggiamento intellettuale. Da scrittore, infatti, da scrittore politicamente impegnato, ti devi battere a favore degli oppressi, contro tutte le oppressioni, contro il concetto stesso di oppressione. Se non assimili questo principio, prima di immergerti nelle lotte particolari, alla camorra o a che altro, il rischio di diventare strumento favorevole all'organizzazione oppressiva che ritieni di combattere è troppo grosso. Ti devi battere, per esempio, anche a favore degli scrittori oppressi dal processo industriale editoriale del quale hai parte non secondaria. Come ti devi battere, da accolto dalle massime autorità israeliane, per vincere l'oppressione subita dal popolo palestinese. Per dire... D’altra parte, e rimanendo al campo delle teorie intellettuali, i malamente avrebbero un magnifico strumento a disposizione per mettere i bastoni tra le ruote a Saviano, se lo considerassero avverso ai loro interessi stramiliardari: la critica letteraria. Basterebbe analizzare quello che scrive, da Gomorra in poi, per assai diminuirlo nell’autorevolezza, per via che troppo spesso Saviano manca il bersaglio, vuoi in termini estetici, vuoi giudiziari o politici. Ma anche qui, se i malamente non lo fanno, questo lavoro di analisi letteraria, vuol’egli dire, secondo me, che le cose gli vanno bene a questa maniera, se no, attraverso una delle miriadi di emanazioni nel culturale, si rivolgerebbero a uno come me, che pure sto (senza accento) sul mercato; ma in verità no a uno come me, che sono ingestibile e voglio sempre fare come minchia mi pare, uguale a un Cardano qualunque (se non l’avete ancora fatto, leggete il romanzo Di questa vita menzognera, di Giuseppe Montesano, che affronta il tema della criminalità organizzata in termini tutt'altro che imprevedibili, ma assolutamente originali; peraltro bisogna onestamente dire che il secondo me grande scrittore Montesano si dice sempre ammiratore di Roberto Saviano).
Torniamo all’empatia, questo antico strumento di trascinamento degli oppressi nel campo di dominio degli oppressori (dico così, per dare un po’ di enfasi al discorso...). Empatico sarebbe quell’atteggiamento secondo cui leggo un’opera d’arte - come dovrebbe essere anche un romanzo - completamente immerso, immedesimandomi nelle necessità del suo autore, ma anche di quelle del suo narratore interno, o delle vicissitudini dei suoi molteplici personaggi. E non la leggo, l’opera, valutandola per quelle che sono le mie necessità e vicissitudini di attore, lettore, spettatore, interprete, studioso, critico, osservatore. Un'opera, secondo la teoria di B.B., va letta estraniandosi dall’effetto illusorio che essa contiene, per farla divenire parte del processo artistico e sociale all’interno del quale essa avviene (Brecht era un po' complicato, ma ragionava bene). Senza estraniamento, diceva Brecht, il processo artistico è falsato. Più precisamento Brecht diceva che è attraverso l’empatia e l'immedesimazione che si falsa la realtà (e adesso, Saviano, come la mettiamo?).
Ora, questo pezzo lo sto scrivendo non tanto per dire Saviano qui Saviano là, ché l’ho già detto mille volte... ma perché girellando in rete ho trovato un articolo di uno dei critici più accreditati, Marco Belpoliti, che ha proprio questo titolo: empatia. Lì per lì ho pensato che non avrei dovuto farmi fregare sul tempo, che avrei dovuto farlo io l’articolo sull’empatia. Messa da parte la normale quota di narcisismo, però, mi sono risollevato: vai, ho pensato, ora gliene dice, Belpoliti a Saviano, di Brecht e dello straniamento; ora gliene dice che dal punto di vista estetico parlare di empatia è reazionario, equivale a riportare le lancette indietro di più di un secolo e tornare al naturalismo ottocentesco; ora gliene dice che è uno scrittore retrogrado (il che non ci sarebbe nulla di male, intendiamoci, ma con l’empatia risulta anche uno scrittore non realista, almeno nel senso del realismo come disciplina conoscitiva, basata sul materialismo scientifico). Insomma, ho pensato, questa volta è impossibile che Marco Belpoliti non gli dica a Roberto Saviano che di fatto è uno scrittore spiritualista, che non per caso fa leva sulla fede sua e quella dei suoi lettori spettatori (Brecht gliela avrebbe detta così, pari pari). Poi ho letto l’articolo (clic). Lo cita, ma non gliene dice. Quello che è peggio, secondo me, è che non gliene fa nemmeno intendere...
Bertolt Brecht: " Le sofferenze non fanno del malato un competente di medicina, e non basta il guardare dappresso, né il guardare da lontano, perché il testimone si trasformi in esperto " (Scritti teatrali, p. 188, PBE Einaudi, 1979)
Qui un articolo piuttosto endorsement di Giuseppe Montesano su Roberto Saviano Post del critico ufficiale dell'accademia, Larry Francisco Romero de Santis Viendalumèr