vogliono la vostra felicità, non lasciategliela prendere
Nell'ultima sua esternazione a favore di un risollevamento morale del paese e dei cittadini, Roberto Saviano ha parlato di diritto alla felicità. Essendo egli un uomo di cultura, di variegata cultura, saprà benissimo che questo diritto è un valore fondante della cultura politica americana, scritto dai padri fondatori addirittura nella dichiarazione d'indipendenza.
Io diffido della felicità in generale, ma di una felicità distribuita dallo Stato, in particolare dallo Stato americano, ho totale ribrezzo. Gli americani, poi, a pensarci bene, mica mi sembrano tanto felici... Certo, quando gli va bene comprano a più non posso, ma in cambio sono costretti a essere ridicolmente patriottici e andare a fare guerre sanguinarie contro piccoli popoli, inventandosi pretesti assurdi. Per il resto mangiano abbastanza male, 'sti mericani, sono oltremodo grassi, campano in media quasi dieci anni meno di noi... per non dire che il loro gusto artistico, nonostante tutto, non si impone come vorrebbero, e produce poco in termini di percentuali di bellezza... al contrario in bruttezza, anche politica, non si fanno mancare nulla, nemmeno 2 milioni di cittadini in carcere (proporzione bianchi neri assolutamente sbilanciata a sfavore della minoranza nera)...
Da questa felicità che vuole beneficiare tutti, sono sempre stato il più possibile lontano, rivendicando piuttosto un diritto contrario, almeno quello a un'infelicità provvisoria. Più in particolare sono stato lontano dalla felicità “ concepita “ nei laboratori di comunicazione italiani, che si propaga mediante un'iconografia per me impauristica, quella della famigliola in armonia, del quartiere ordinato, del centro commerciale affollato, della gente in vacanza, delle gioie a comando dei programmi televisivi, e, peggio di peggio, dei dolori a comando, che ancora più legittimano il clima di falsa gioia che c'è in giro.
Se la vediamo da vicino, questa felicità che ci vogliono far ingurgitare a tutti i costi anche in Italia, non produce uomini e donne contenti: produce solo benessere economico nella fascia medio-alta della popolazione, e produce malessere più o meno marcato nelle fasce medio-basse. Il diritto alla felicità, insomma, altro non è che il diritto al benessere economico delle fasce medio-alte.
Nonostante i copiosi sforzi degli intellettuali, degli artisti e in particolare degli scrittori impegnati, le persone vive, sopra di tutto, chissà perché, quelle appartenenti alle fasce medio-basse della popolazione, che ne sono costituzionalmente escluse se non in minimissima parte, ritengono che il loro diritto alla felicità consista nell'accaparrarsi i migliori beni materiali: riparo, cibo, salute, foglio di carta per fare i concorsi o accedere ai piani alti del mondo del lavoro (a stipendi alti). Non lo scopro io che della vera istruzione e della cultura non gliene frega niente a nessuno. Tanto è vero che le persone vere, quelle vive, leggono pochissimo, si informano male, non vanno a teatro, ai concerti, alle mostre ecc. Non ci piace, ma è così. Queste robe qua sono riservate a una piccola avanguardia che fa parte o aspira a far parte della classe dirigente. Certo, tra gli interessati ai fatti espressivi sopravviverà una percentuale di persone appartenenti alla fascia medio bassa, che non nutrono nessuno ambizione di potere. Ma di che numeri stiamo parlando? Prendiamo ad esempio il teatro. In Italia si vendono 13 milioni di biglietti all'anno per eventi teatrali, che comprendono concerti, lirica, prosa, comici e musical nelle grandi arene o nei palazzetti dello sport, e quant'altro. Si tratta in media di una presenza a teatro ogni cinque anni. Non solo, siccome si tratta di numeri falsati, le presenze relative a fatti che abbiano un contenuto artistico almeno decente non credo superino il 20% della cifra suddetta. Quindi la presenza media a un evento teatrale con contenuto “ artistico “ decente si riduce a una ogni 25 anni. De che stamo a parla'? Gli italiani si recano a teatro sì e no 3-4 volte nella vita. Vuol dire che le persone vere, quelle vive, a teatro non ci vanno, alle proprietà salvifiche della cultura non ci credono. Vuol dire che il teatro si continua a fare nonostante l'ostilità del pubblico popolare, che evidentemente non si sente rappresentato da questa forma di arte, che ritiene appartenente alla élite borghese.
Per questo indigna, davvero indigna, che gli occupanti dei teatri, che dovrebbero essere preparati, colti, intelligenti, non si rendano conto che essere avvicinati al centro del dibattito politico come rappresentanti principali delle proteste è una maniera furba per falsificare gli avvenimenti. È una furbizia alla quale ricorrono i padroni del sistema politico-editoriale per svalorizzare l'insorgere di cittadini insofferenti di fronte all'espandersi dell'ingiustizia economica. Per via che quelli della cultura vengono percepiti dai cittadini italiani come stravaganti, in senso affettuoso dalle persone bendisposte, in senso dispregiativo da tutti gli altri, la stragrande maggioranza, che anche se non possono dirlo esplicitamente li considerano ancora peggio dei teppisti cosiddetti black bloc.
Ma che glielo devo dire io a tanti fior di intellettuali che dai teatri ci si può al massimo rivolgere alle avanguardie delle élites dirigenti delle quali facciamo parte, o delle quali aspiriamo a diventar parte il prima possibile, mi si perdoni la malizia, a seguito di servizi resi...
Prendiamo il teatro Valle, una delle esperienze politiche che stanno in tanti markettizzando a proprio favore. Mi taccio sulla qualità dei contenuti artistici proposti in questi mesi dagli occupanti, dicendo solo che non rappresentano affatto il meglio del teatro italiano, quello fatto dagli artisti che rischiano di più sulla loro pelle e che sempre sono stati lontani dalla greppia statalista (e dal quantomeno poco morale sistema di casting televisivo e cinematografico). Parlo invece degli aspetti economici e organizzativi. Il teatro Valle era nel circuito ETI, ente teatrale italiano chiuso per decreto ministeriale pochi mesi fa. Ebbene, l'ETI, per tanti e tanti anni, ha mantenuto lo status quo promuovendo il teatro più ingessato, contribuendo assai all'erezione delle barriere di accesso, che impedivano e impediscono al pubblico di venire a contatto con contenuti più interessanti e valenti dal punto di vista artistico, e ai teatranti più innovativi di ottenere le necessarie ribalte. Della chiusura dell'ETI, dunque, bisogna essere tutti contenti, come lo sarebbe Carmelo Bene (uno che i teatri li riempiva ma dall'ETI era osteggiato), che si batté a lungo contro di esso, chiedendone appunto la chiusura.
Meno contenti bisogna essere della chiusura di un teatro, a prescindere. Ben venga l'occupazione. Che però, pare, è venuta a difesa di interessi particolari, non di interessi generali. Cioè a difesa dei lavoratori del teatro, che sarebbero stati spostati in altre istituzioni o non fatti lavorare più, immagino, nel caso dei precari. Chiaramente non c'è nulla di male a difendere il proprio posto di lavoro, anzi... Ma di questo si tratta, di questo pare si tratti. In campo, del resto, c'era la proposta di soggetti privati per gestire il teatro con formule innovative, non so quanto efficaci. Ma tanto...
I fatti, in termini economici, sono questi. Il teatro Valle gestito dall'ETI costava alla comunità 2 milioni e mezzo all'anno. Sono pochi sono tanti? Non so. Per un teatro che non produce, ma accoglie solo distribuzioni, sono tanti, qualcosa come 7.000 euro al giorno di perdita per un numero di recite che difficilmente poteva stare sopra le 200 all'anno. Sta a significare che ogni recita rimetteva 12.500 euro. Non poco... Mi azzardo a dire che un qualunque soggetto privato, ai quali sono tendenzialmente contrario, potendo perdere tale cifra per ogni recita, proporrebbe cartelloni assai superiori a quelli proposti fino ad oggi, direi addirittura stratosferici. Se non dovesse elargire favori alle compagnie teatrali “ protette “... magari dai vicepresidenti del consiglio, o assumere personale ingiustificatamente, o chissà che altro.
Però, impresari a parte, possibile che in centro a Roma, in un teatro storico come il Valle, dove si fa teatro tradizionale, non si riesca a ridurre drasticamente la necessità di denaro pubblico? Si tratta di un teatro che ha 630 posti. Facendoci 200 recite all'anno si potrebbero fare 126.000 spettatori. Siccome fare sempre esaurito non è possibile, diciamo meno un 10% (che potrebbero divenire biglietti omaggio per i poveri). Si tratterebbe di 113.400 biglietti venduti. Se lo si facesse a una media di miserabili 20 euro si otterrebbero incassi per 2.268.000 euro, ai quali si dovrebbero lo stesso sommare i contributi degli sponsor e delle amministrazioni pubbliche, ma per quanto riguarda queste ultime solo in misura minima.
Ho sentito e letto di statuti novativi, di fondazione di un vago centro per la drammaturgia italiana, ma di soldi si parla poco. Se parlassero di soldi, gli occupanti del Valle, nei termini appena detti, sì che sarebbero benemeriti, sì che diverrebbero credibili. Invece, temo, vorranno gestire il teatro come rappresentanti del popolo, assolutamente contraddicendosi perché in democrazia tali lo sono solo quelli eletti mediante libere elezioni... Ma lo stesso esigeranno i soldi pubblici, da Stato, Regione e Comune, ignorando la potenzialità eversiva degli incassi... Lo faranno naturalmente in nome del diritto alla cultura e queste cazzate qui. Quello che è peggio è che gli otterranno, i pubblici anelli di finanziamento, ulteriormente danneggiando i teatranti più innovativi, sempre in nome del popolo che ha diritto sì a una cultura, ma, che cazzo, che sia una cultura comprensibile, vale a dire facile (cioè inferiore a quella degli occupanti e del loro pare ristretto circolo).
Andrà malinconicamente a finire, temo, che prima Renzo Arbore non aveva accesso al cartellone del Teatro Valle, e invece ce l'aveva il problematico Carlo Cecchi; poi ce l'avrà Renzo Arbore a danno di Carlo Cecchi, l'artista che fa il miglior teatro di tradizione, e infatti i teatri li riempie, ma senza fare sconti “ culturali “ a nessuno, tanto meno al cosiddetto popolo. Oppure andrà a finire che ci faranno la drammaturgia loro senza pubblico, ma però faranno la cultura... Dalla quale, da questo modo di interpretarla, mi sento pure di stare alla larga, di consigliare i miei cari di starne alla larga. Giacché la cultura, come la si pratica in Italia, è lo stesso della felicità: per affermare i propri non sempre indiscutibili principi non guarda in faccia a nessuno.
Ps del 13 nov 2011: andatevi a leggere questo articolo, a proposito di rivoluzione culturale al Teatro Valle occupato. Anche questo, dove pontifica Franco Cordelli, che del resto ha un'ottima idea di teatro, al limite della celebrazione dei misteri di antica memoria, anche se di teatro teatro, della rivoluzione novecentesca avvenuta in questa disciplina artistica, se n'intende poco (come tutti i letterati prima di lui, Raboni compreso), per sua stessa ammissione... e forse da qui la sua originalità.
Ps del 13 nov 2011: andatevi a leggere questo articolo, a proposito di rivoluzione culturale al Teatro Valle occupato. Anche questo, dove pontifica Franco Cordelli, che del resto ha un'ottima idea di teatro, al limite della celebrazione dei misteri di antica memoria, anche se di teatro teatro, della rivoluzione novecentesca avvenuta in questa disciplina artistica, se n'intende poco (come tutti i letterati prima di lui, Raboni compreso), per sua stessa ammissione... e forse da qui la sua originalità.
Bellissimo titolo, Larry ... se ne dovrebbe fare una commedia. O esiste già?
RispondiEliminaLa felicità non guarda in faccia a nessuno ...
regia: Larry Massino.
Ci hai già pensato?
Potrebbe essere un successo, mica no.
Potrebbe essere un inizio.
Bel post Larry e anticonformista come sempre:-) la tua critica agli occupanti del Valle è quanto di più originale abbia letto in proposito.
RispondiEliminaNon vorrei essere indiscreta ma ti occupi così profondamente di teatro per passione o ne hai esperienza più diretta per motivi di lavoro?
maria
Massimo grazie, ma sono contro il successo, e ancora di più contro gli inizi...
RispondiEliminaMaria grazie anche a te. Me ne occupai a lungo, in senso non solo artistico, sperimentando e proponendo agli altri nuove forme organizzative (che sono quelle che mancano). E feci male, perché sembravo di marte in mezzo a tanti effettivamente importanti artisti che si occupavano solo del proprio orticello, che si riduceva giorno dopo giorno fino quasi a scomparire. Mi fossi occupato anche io solo della carriera sarebbe forse stato meglio, perché alla fine... anche fra le anime belle, I CONTENUTI CONTANO ZERO, conta solo il successo. Comunque, nonostante tutto, io sono a posto così, isolato e minoritario. Ciao.
!!!
RispondiEliminafm
Più si guardano da vicino, più i "moduli di vita" che lo stato offre sono delle prese per il culo cui purtroppo bisogna pur credere quel tanto per non cadere in tentazione... ma ... male... amen, anche se finanche la loro praticità, di cui si farebbero campioni, è una mera imposizione mentale. Il pacifico installamento normalizzante.
RispondiEliminaAllo stesso modo si può provare felicità in quanto possessore, e costruire il futuro in previsione di una ristrutturazione o d'un ampliamento dell'impalcatura stabile che favorisce il raggiungimento delle migliori mele rosse, o dell'uva più dolce.
Sotto, si ragiona alla stregua della storiella della volpe e dell'uva, appunto.
Più interessante, credo, si faccia il discorso quando si volesse ridefinire (e non sarebbe popolare farlo) tutto l'amplesso della Felicità... che se ne possa diffidare addirittura in generale, come ne ho sempre diffidato pure io, e come accenni, Larry, non è poco, anzi, se ne potrebbe discutere. anche su questi insufficienti canali...
ciao
Lessi e nuovamente lampadine si accesero. Grazie assà. E a presto, visite in loco o meno.
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