Larry Massino is back, dispartito, tornato at home. Un caloroso abbraccio a tutto il suo pubblico, Floarea, Davide, Rita, Francesco: meno dei 25 lettori che immaginava di avere Alessandro Manzoni, ma senz'altro più qualificati.

giovedì 1 dicembre 2011

L'alfabetismo in arrivo è peggio dell'analfabetismo di ritorno

 Altro che cervelli in fuga... bisogna ma combattere la piaga dei cervelli che restano!

Questi che la realtà e qui e là, quando essa non coincide con le loro stizzite teorie, dànno di barta  (si dice a Firenze per dire che dànno in escandescenza). Come Tullio De Mauro, che è un'autorità riconosciuta del mondo della scuola e degli studi sul linguaggio - mi sembra sia  stato anche ministro dell'istruzione, nonché traduttore del corso di linguistica generale di de Saussure.

Se sette italiani su dieci non capiscono la lingua, titola un'allarmata articolessa di Paolo di Stefano sul Corriere della sera (qui) sul peana lanciato dal linguista Tullio De Mauro
circa l'analfabetismo di ritorno (sempre meno preoccupante dell'alfabetismo in arrivo...). Poi il pregiato critico letterario spiega che non sanno leggere, gli italiani, generalizzando al massimo, ma in buona  sostanza intendendo indirettamente rammaricarsi del fatto che questi italiani qui non possono essere clienti degli editori che gli dànno lo stipendio (Di Stefano, si scherza! Io per altro come critico letterario la condivido quasi sempre, specie quando produce sintesi strepitose di questo tenore: " Mentre la Merini puntava tutto sull' ispirazione dall' alto, Saviano sembra scommettere sull' ispirazione dal basso, condannando gli altri veri scrittori alla sua stessa condanna: realtà e impegno. Come se bastasse un travaso acritico dal piano civile a quello estetico per fare vera letteratura. E come se l' etica non si trovasse altrove che nella realtà ". Ma in questo articolo sull'analfabetismo di ritorno mi sembra un po' svogliato, come avesse dovuto farlo per forza). Immagino.  Invece, io penso che se  sette italiani su dieci non capiscono la lingua vuol dire che è sbagliata la lingua, non che sono sbagliati gli italiani... Ovvero è sbagliata la  concezione normativa della lingua che hanno le massime autorità del mondo dell'istruzione. De Saussure, infatti, nel suo testo con il quale si fa convenzionalmente iniziare la linguistica come scienza moderna, dice espressamente che materia della disciplina è lo studio della lingua parlata (usata da persone vive), non l'imposizione di regole formali rigide attraverso la scuola, del resto a parlanti sempre prima formati dalla partecipazione alla vita sociale da soggetti riconosciuti (la soggettività sociale assegnata addirittura ai bambini è un'invenzione recente a fini di maggiori consumi; anche per maggiormente responsabilizzare gli adulti lavoratori, che se non fossero socialmente obbligati a venerare i bambini  farebbero forse più marachelle di quante ne fanno: come succedeva una volta...). A me sembra per esempio che i bambini, prima di andare a scuola a imparare con l'abbecedario, parlino benissimo, facendosi capire e ben dosando  elementi normativi appresi per emulazione (si dice così e si dice cosà, gli urlano in continuazione gli adulti, poco ascoltati...) coi naturali  elementi espressivi e descrittivi (creativi). Poi si sciupano...   Gli è strano... Sarebbe come se un bambino per strada sa giocare a pallone, poi più grandicello va al campo a giocare con la squadra e non sa più...

Io non ho mai incontrato una persona incapace di esprimersi. Come in teoria non c'è nessuno incapace di cantare, specie nell'Italia pizza e mandolino: e sarebbe bello, nella culla del canto e dell'arte,  vivere in città dove si comunica cantando... Come non ho mai incontrato nessuno incapace di esprimersi attraverso il proprio  corpo.  Ma ho incontrato tante umili persone che per avverse circostanze materiali non avevano potuto studiare. Ho incontrato anche giovani lavoratori sostanzialmente espulsi dal gioco dell'istruzione scolastica perché convinti, da insegnanti al limite della pratica criminale della propria professione, di essere incapaci di studiare (guarda caso tutte persone di fascia sociale medio bassa). Spiegavo loro che li avevano fregati. Erano miei amici  e mi facevano il favore - in un'epoca nella quale ancora non si erano espressi a pieno i trans, mischiando tutto  e attenuando di molto l'omofobia - di non considerarmi finocchio, a quei tempi  massima infamia, a causa del fatto  che avevo sempre libri in mano, più che altro di letteratura, anche quando si giocava a carte e sul tavolo ingombravano. Mi riconoscevano addirittura autorità pensativa, come i popolani con Eduardo nel film  L'oro di Napoli, dove spiega le differenze tra pernacchio e pernacchia (clic), e mi scuso per il paragone... Ci rimanevano male, i miei amici,  quando capivano il ragionamento. Spiegavo loro che  non era vero, che nessuno è incapace di studiare, né di apprendere, che è anche meno faticoso studiare belli rivestiti in una bella biblioteca che faticare indossando stracci in un brutto cantiere... che era solo una questione di pratica e di allenamento, come fare sport, che non c'è nessuno zuccone di natura, che ognuno può godere dei benefici dell'apprendimento, o della semplice lettura a scopo di svago. Del resto erano (e sono) tutte persone capacissime nella vita di svolgere attività più o meno impegnative, da costruire case, a fabbricare capi d'abbigliamento, a riparare macchine ecc. In genere capaci di apprendere attraverso la scrittura per quanto riguardava i loro interessi, dal motore dell'auto ai campioni dello sport. Qualcuno cominciò a leggere facendosi consigliare da me. Io li indirizzavo secco su Dostoevskij: non s'è mai lamentato nessuno. Ogni tanto, ridendo,  arrivavano da me con uno nuovo da indottrinare: Larry, questo non ci crede, spiegagli che ci hanno preso per il culo!

Ho incontrato fior di appena alfabeti che sapevano cantare tutto il repertorio lirico italiano, altri che sapevano vagonate di poesia a memoria, a partire da Dante.  Tutte persone  che gli articoli di giornale non li capivano (secondo me si erano intestarditi a star lontano da gazzettieri, educati com'erano a star lontano da dulcamara e fanfaroni).  Né tanto meno sarebbe stati promossi applicando a rigore le teorie culturali di quelli come il Professor De Mauro, che invece di allargare la lingua in modo da farci entrare più parlanti possibile, la restringono alle sue norme, e pazienza se dentro ci sta solo un cittadino su dieci (se va bene). Sarà un caso, ma risulta che anche gran parte della ricchezza sta nelle mani di un cittadino su dieci, i quali, a me pure risulta, hanno interesse come minimo a mantenere le cose come stanno. Potrebbe anche essere  che tra questi uno su dieci ci sia almeno il 90% di classe dirigente (secondo me anche gran parte dei famigli dei professori italiani, per non dire i facitori della cosiddetta cultura).

Il fatto è che quelli come l'esimio Professor De Mauro gli italiani non li vogliono espressivi, ma sottomessi alle norme della lingua scritta, che sempre casualmente è quella che dominano loro, insieme a quattro gatti di docenti e giornalisti che attraverso questo capitale possesso si descrivono vicendevolmente al centro della società. E insieme a quelli che fanno da vero le sorti della società, dirigenti, industriali, professionisti, banchieri e politici. C'è, insomma, nell'atteggiamento finto neutrale e finto scientifico di De Mauro, un sentimento di superiorità antropologica, una vera e propria ideologia da far valere contro gli straccioni di italiani che non si sanno esprimere in straniero (la lingua italiana imposta dall'alto delle istituzioni alle popolazioni che si esprimevano e si esprimono benissimo nelle loro lingue, equivale a imporre la lingua dell'invasore).

Gli stessi tribunali - se ci capitate fateci caso – premiano gli imputati che si sanno esprimere nella lingua italiana scolastica dei giudici, e aggravano la posizioni di coloro che si  esprimono nel proprio idioma, che per forza contiene odio nei confronti dell'autorità e delle istituzioni, dalle quali si sentono oppressi, a partire dall'imposizione di una lingua impoverita a fini di comunicazione, con la quale non si può esprimere un cazzo.

Pur non essendo un esperto di nulla, figuriamoci di una materia ostica come la linguistica,  ho letto abbastanza per essermi fatto l'idea che la disciplina  è stata sfigurata dai suoi applicatori sociali, a parte forse certe esperienze di sociolinguistica in America, fatte sul campo da insegnanti militanti, dove però, temo, ancora impera il generativo (di fatto spiritualista) Noam Chomsky, contro le davvero belle teorie inclusive del materialista  William Labov, la sociolinguistica quantitativa-urbana, per esempio, tendente a considerare tutte le espressioni linguistiche di pari qualità, almeno  a fini espressivi e di giudizio sui quozienti intellettivi delle persone, in particolare degli studenti - i quali, detto fuori dai denti, non avrebbero nessun naturale obbligo di applicarsi nella lingua di comunicazione attraverso la quale si impongono socialmente i loro oppressori; certo, ce l'hanno se si vogliono fare spazio nella società nella quale le lingue di comunicazione sono inevitabilmente quelle dei dominanti; ma poi, questo spazio sociale, urbanamente e quantitativamente parlando, per gli oppressi o dominati c'è? 


Una esperta di linguistica,   pregiata inaffidabile mia collega di Accademia, che è stata una allieva del grande linguista e umanista rumeno  Eugenio  Coseriu, mi ricorda sempre che lui non finiva mai di ripetere che, come il clienteil parlante ha sempre ragione. Ma se il parlante ha sempre ragione, il torto chi ce l'ha?

Testo e autore del testo non corretti.

15 commenti:

  1. molto bello quello che hai scritto sulla linguistica… alla faccia degli esperti o pseudo…

    Coşeriu diceva tante di quelle belle cose sul parlante… parafrasando Protagora, diceva.. nella lingua il parlante è la misura di tutte le cose… e poi non si stancava mai di rinfrescare la memoria ai linguisti… dicendo a loro di ricordare che la lingua non è fatta da e per linguisti ma da e per parlanti…

    Come mai non abbiamo imparato ancora questa semplice verità… quando il parlante tace, la lingua muore… quindi parlate, parlate, parlate… infrangete le regole, per crearne delle nuove… per far si che la lingua sia quella dei nostri tempi, quella viva, e non quella dei dizionari… Nei dizionari e nelle grammatiche non c’entra mai tutto, rimane sempre fuori la coda… la coda parlante della lingua…
    contadina senza terra... in veste di parlante

    RispondiElimina
  2. OT

    Larry, dovresti rimpicciolire l'immagine; l'effetto, almeno sul mio computer, è di uno sbarellamento totale della pagina (e della home).

    fm

    p.s.

    IT

    Gran bella riflessione.

    RispondiElimina
  3. FM, fatta l'operazione. Va meglio? Grazie del sostegno (im)morale, anche alla contadina.

    RispondiElimina
  4. Il sostegno ti verrà tolto solo quando diventerai "affidabile"...

    fm

    RispondiElimina
  5. La letteratura offre un vantaggio, rispetto alle altre "diottrie" del sapere... ed è che ci sono i testi che uno può leggere senza dover passare per l'anticamera dell'ispettorato supervisivo De mauro o di Contini... ma la scuola allontana i regazzini dai testi, e quelli che vogliono salire di livello sociale prendendosi la laurea si fermano prima dei testi, nell'anticamera di de mauro e compagnia ché sono loro a consegnare i pass e i benefit per il mondo d'alto loco.
    Se si riuscisse a far capire anche all'ultimo degli esclusi scolastici che può permettersi tranquillamente di leggersi Dostoevskij o Pavese... ma quanti Eduardi a carica pernacchio ci stanno in giro?

    Sono d'accordo sulla linea del tuo bellissimo post, ma non sottovaluterei il rullo compressore della televisione sui fatti linguistici. lo so, non si parla d'altro che di questo... ma dove le istituzioni, dove le amministrazioni e quindi l'istruzione di massa hanno avuto un successo scarsino nell'omologare italiano e italiani, la tv
    ha distribuito come le caramelle per i bambini una lingua riperimetrata verso il bassobasso espressivo, imponendosi anche contro gli idiomi locali che non muoiono così con una pugnetta, ma zoppicano forte, specie nei pube (sc) enti.

    gran post, Larry
    ciao

    RispondiElimina
  6. ps:
    io prescrivevo agli amici non studiati, Orwell, Delitto e castigo, Viaggio al termine della notte e Il giorno della civetta, Bukowski, o Fante.
    puntualmente mi chiedevano altri titoli.

    RispondiElimina
  7. Fermo restando il rispetto assoluto e impacciato che tributo alla linguistica come a tutte le discipline che ignoro, non credo che fine della scuola sia insegnare ai pargoli come comunicare, come farsi capire. Se così fosse, come pensano certi pedagogisti fighetti, se ne dovrebbe dedurre che la scuola è perfettamente inutile. No. Ritengo che l'insegnamento della lingua italiana a scuola perseguisse originariamente altri scopi: in breve, la preservazione della lingua stessa, forma, stile e bellezza, che dalla strada non s'apprende (anche il nostro amato Céline aveva letto tanto prima di inventare il suo pazzesco argot). Ovviamente, non esiste una sola ragione al mondo per cui questo gravoso fardello - io dico, il compito di apprendere e perpetuare la lingua dei padri - debba gravare sulle spalle di tutti. Una selezionata minoranza servirebbe egregiamente allo scopo. Personalmente, ne ricavo che il vero abominio è l'istruzione generalizzata e obbligatoria. E di solito a questo punto prendo legnate.

    RispondiElimina
  8. Yanez le legnate, se pensi che l'abominio è l'istruzione obbligatoria, un po' te le meriti. L'abominio è che invece si fa poco per far diventare di massa anche le materie. Insegnare la letteratura come forma aulica è un abominio: bisogna insegnare a leggere i testi, se possibile a produrli, in base a suddivisioni nette tra testi espressivi, comunicativi, ingiuntivi ecc. Nel caso della linguistica, bisogna che si metta al centro il parlante, no lo scrivente. Ma se si mette al centro lo scrivente non lo si fa per incapacità, lo si con malizia... Il problema non è che si insegna a comunicare, ma che si formano le menti per divenire succubi di chi è centrale nel circo della comunicazione, dandogli così il diritto di dirigere il traffico...

    La lingua (le lingue) si evolve continuamente, Yanez, non è possibile preservarla. La lettura del tuo (e mio) amato Céline almeno questo dovrebbe avertelo trasmesso.

    RispondiElimina
  9. Sarà. Talvolta mi intrufolo nei discorsi di amici professori di lettere, che non parlano più di temi e poesie, bensì di categorie di testi distinti per funzione ("espressivi, comunicativi, ingiuntivi ecc.") e devitalizzati, quasi che il verbale dei carabinieri fosse un genere letterario come la poesia epica o il romanzo. A me sembra tanto teorico e vano, quanto studiare la cartina di un museo invece di visitare il museo. Ma, insisto, queste sono le opinioni di un clown.

    RispondiElimina
  10. Clown a clown, ti dico che per me visitare i musei è sicuramente peggio che studiarne la cartina. Opinioni. In ogni caso, la questione è che tu non sei tanto progressista. Non c'è nulla di male. Però io lo sono, e ritengo che bacato non sia il progresso, ma il modo in cui lo si applica, escludendo invece che includendo. Ribadisco che se sette italiani su dieci non comprendono una lingua, vuol dire che è sbagliata la lingua, che è sbagliato il modo in cui viene gestita, no che sono sbagliati gli italiani.

    RispondiElimina
  11. Larry.

    probabilmente la percentuale di italiani indicata da Tullio De Mauro non saprebbe cogliere del tuo lungo post quasi nulla, ma non per questo dico che hai scritto in modo sbagliato o chissà quali sciocchezze.

    Non ho letto l'articolo di De Mauro, ma da come viene riportato dal Corriere della Sera, non mi pare che il linguista non accetti il modo di esprimersi di alcuni o molti italiani, ma casomai denunci una certa incapacità a decifrare testi abbastanza comuni. Ci sarebbe , tutt'al più, da domandarsi come abbia fatto a stabilire ciò, più che tirare in ballo sensi di superiorità antropologica o il fatto che 10 cittadini su 100 detengano la maggior parte della richhezza italiana. Non sarà certo colpa di De Mauro che credo abbia consapevolezza di vivere in una società divisa in classi e che questa divisione sia segnata anche da differenze linguistiche, il che non vuol dire che non esistano artigiani eccellenti o declamatori analfabeti di straordinaria poesia.

    Che poi il parlante abbia senmpre ragione e che non sia il vocabolario a formare una lingua ma viceversa mi pare cosa ovvia che De mauro non si sognerebbe di contestare.

    Per il resto il post mi è piaciuto molto.

    maria m.

    RispondiElimina
  12. Però, Maria, il mio modo di pensare li include gli italiani indicati da De Mauro, anche se non sono in grado di decifrare i miei testi (ma se da me emessi oralmente sì, te lo assicuro). Io penso che il dato sia impauristico, utile a rafforzare la posizione centrale dei professori di italiano (e di De Mauro) nella società, centralità irrimediabilmente persa a favore degli straccioni. La questione si può rovesciare così: quanti sono i testi che non comprendono gli italiani? Secondo me assai di più del 70%. Di questo parla il mio pezzo. Per il resto sono abbastanza d'accordo con te che ci ho messo troppa enfasi, non ritenendo affatto De Mauro, sui cui libri a suo tempo mi for mai, un deficiente. L'altro giorno non ti chiamavi maria f? Ciao.

    Ps: fossi De Mauro direi così: il 70% degli italiani non è in grado di decifrare i testi. Quindi dobbiamo cambiare il modo di scriverli. (altrimenti, Maria, si capisce che De Mauro intenda dire che bisogna cambiare gli italiani... che però, anderèbbano anche cambiati, ma non nel senso normativo che dice De Mauro)

    RispondiElimina
  13. Larry,
    si sono quella maria lì che si firmerà così da qui in avanti.

    Per il resto lo so che hai peccato di enfasi e basta, ero certa che non considerassi de mauro un deficiente, ma ho voluto precisare per amor di discussione:-) ripeto, però, che il tuo post in generale mi è sembrata una cosa molto seria.

    Maria M.

    RispondiElimina
  14. Quello che "tu non sei tanto progressista" è l'eufemismo più carino che mi sia stato rivolto, tranne "forse daresti di più in uno sport più tranquillo". La mia tesi è che è inevitabile che il vulgare sia diverso dalla lingua aulica, che la lingua aulica andrebbe insegnata nelle scuole ai pochi che se ne serviranno con proprietà e grazia, mentre gli altri dovrebbero imparare il vulgare dalla mamma o per strada, e usarlo con tutta la libertà del caso. Chiaramente, l'italiano (con tutte le sue regole e finezze) è francamente troppo difficile perché tutti lo usino correttamente e con disinvoltura: io stesso, con tanti anni di studio alle spalle, non sono affatto sicuro di aver azzeccato tutti i tempi verbali proprio qui sopra! In questo senso, davvero "la lingua è sbagliata". Se ci pensi, non siamo poi ad anni luce di distanza...

    RispondiElimina
  15. Maria non dubitavo...

    Yanez, lo so che in fondo non siamo tanto distanti, ma obbligare impauristicamente le persone vive a utilizzare una lingua morta è per me una schifezza, è un atteggiamento elitario che tende a escludere invece che a includere. Ciò non significa che chi si diverte con la lingua non debba conoscere anche la lingua aulica che tu dici (e perché no il latino?). Ma essa, in sé stessa, rimane un capriccio da letterati spesso di secondordine, e da repressi professori di italiano (di sicuro ce ne saranno anche di non repressi... ma quanti?).

    RispondiElimina

Non sono consentiti i reati