Alberto Savinio Roger et Angelique
Qualcheduno di voi, può essere che, già lo sa, chè ce l’ho detto io e mò non mi ricordo, o, può essere che, ce l’ha detto un altro, che l’era venuto a sapere da chi ce l’ho detto io, che tengo un giovane, nel fabbricato dove sta la terra mia, che mi aiuta nu poco a fare le cose che si devono fare, anche se non sa fare niente e non capisce nemmeno se ce lo dici centinare di volte. Questo giovine, mò fanno tre anni, tiene la laurea, ma non tiene il lavoro; e sta qua. Verso l’ultimi giorni del mese passato, mi ha fatto una richiesta, se si poteva permettere di dire a certi compagni sui, che non sono di qua, ma che so’ venuti al mare qua vicino, per fare le ferie dell’estate, che, poi, tutti l’altri mesi, no fanno niente, com’a lui, di venire a mangiare tutt’assieme, come un saluto a tuttu quanti, prima che partivano. E’ inutile che mi metto a dire le cose che non sono, perché, dopo tanta tempo, nu’ poco mi sto affezionando; e l’ho detto di sì, ma che io, pure se lui e, dice lui, pure l’altri, li faceva piacere che stavo con loro, non ci potevo andare, chè tenevo da fare ‘na cosa importante assai a lu paese. Il disgraziato non s’è messo a insistere nemmeno un poco, ma io me l’aspettavo, chè questi giovani moderni non è che so’ busciardi, come diciamo noi che teniamo un poco di anni più assai; so’ proprio stubbiti così. Nemmeno a fare vedere un poco: che cazzo potevo tenere da fare la sera di domenica a lu paese!!? L’ho guardato fisso; ma ho perso tempo, chè tanto n’ha capito niente, e l’ho dato pure il permesso, abbasta che non mi facevano trovare tutte cose sotto sopra, di mangiarsi il formaggio e la ricotta che tenevo nella cantina; e che, se non se lo scolavano completamente, pure il vino si potevano bere. ‘Nu poco di frutta buona, due fichi e certi meloni che non li potete trovà a nessuna parte, ce li avevo già raccolti io e ce li avevo messi già dentro al frigorifero, chè, se è vero che mò mettiamo tutto là dentro, pure le cose che non si possono mettere, che, se no, non so più buone, bisogna dire che, lo sapete tuttu quanti, ha fatto troppo caldo, ‘sta staggione, ed era meglio che stavano un poco al fresco. So tornato a vedere che avevano combinato, chè la casa è sempre la mia e la responsabile pure, e questi, se s’imbriacano, no capiscono niente più, peggio di quando non bevono, e stavano ancora là. Stavano sopra a tutta la cucina i cosi di plastica dove ti mettono la carne, e i salami, quando te li vai a comprare; tanta bottiglie vuote di birra straniera no l’avevo viste mai… E io che mi stavo preoccupato che si mangiavano le cose buone mie: che generazione, mi so’ messo a pensare. Forse, si credevano che tenevo tre, quattro servi che mi venivano a pulire loro. Oh, certo che è forte, quando ti capiscono che non devi dire nemmeno una parola: subito si hanno alzati e hanno riempito tanta buste di cos’avanzate, che li volevo dire se volevano andare a Napoli a iutare un poco i napoletani che so’ bravi…………… Mi so fermato un momento e mi so letto che ho scritto: mi dovete scusare, che parlo assai. Quanto mi piaceva, se sapevo scrivere come i scrittori veri! Invece, mentre che sto dicendo una cosa, mi viene un’altra; e non so capire che è inutile che la scrivo, perché, se no la scrivo, mi pare che non si capisce che voglio dire. E, invece, mò, mi pare che no si capisce niente, ma io mi volevo spiegare bene, chè mi dispiace assai, che non capite niente…………… Comunque, verso le due, che io a quell’ora tengo un sonno che non vi potete nemmeno immaginare, se no sò andati alle case loro. Solo lui è rimasto, chè non tiene un posto suo. Ci siamo messi a parlare nu poco, che quann pass il primo sonno ti senti che puoi rimanere in piedi, e lui, m’ha fatto la domanda se lo potevo raccontare una storia di quelle che, ha detto lui, mi so inventare io.
–Ma non una storia triste, come fate di solito. Senza quel velo di malinconia che copre le vostre parole… Una storia divertente…
Primm’anzi tutto, l’ho risposto, che proprio me ne stavo per andare, tant’ i nervi che m’aveva fatto venire, fin’a mò hai detto, una continuazione, che era meglio che mi stavo fermo e zitto, che non è lu mestiero mio a scrivere le cose. Mò, te ne vieni che ti metti pure a criticare. Io non m’ho mai inventato, niente, rimbambito!.. Ti fanno venire la tristezza, a te, le storie mie?...è allegra la faccia ca tieni tu!...Chi era quella giovine che ti sei messo più tempo, a salutarla, e che non ti lasciava la mana e ti guardav ‘mmocc’ a mmocca?... E siamo arrivati, ueh!...il critico…com’è che ti sei fatto rosso??!.. Vabbuò,non ti mettere a vergogna; senti se questa ti fa ridere un poco…
‘Na volta, qua, proprio esattamente com’avete fatto stasera, pure io ho fatto na bella cena con nu sacco di compagni miei. Potevano essere una otto, dieci ann che ci eravamo presi il diploma; dopo che co tanta insistenza, e da tanta mesi prima, mi avevo messo sopra a mio padre, come ‘na cambiale, per farlo dire si, a farci riunire qua, che lui la mattina presto teneva da lavorare, ci siamo riuniti. Potevamo essere poco sott’a una ventina; s’avevano, quasi tutti quanti laureati, meno due o tre, comm’a me, che non avevano continuato; chè, un poco, non li piaceva, ma, molto, nemmeno tenevano i soldi che tenevano l’altri. Era venuto pure Antonio, che tu non lo sai chi è, ma, mò, vedi che ti faccio capire quant’era antipatico, stu cristiano, e scemo e fissato… Già da quando andavam’ alla scuola, non lo potevo vedere, chè era uno raccomandato e non capiva niente, ma il padre, avvocato di qua vicino, lo conoscevano tutti quanti e lui andava avanti così, pure se no studiava, com’a me; solo che io venivo rimandato, a due, a tre materie tutti l’anni, e tenevo pure a mio padre che diceva che dovevo venire a impararmi a lavorare la terra, che lui non mi vedeva tanto bene coi libri in mano, e lui veniva promosso e se n’andava alla spiaggia a fare il ciaciacco colle femmine… Quando abbiamo finito di mangiare, che poi io dovevo pulire, mò, almeno, voi avete fatto vedere che tenete nu poco d’educazione, è successa na cosa strana, che, a quel momento, non riuscivo a capire com’era possibile: stu Antonio s’è messo a dire se, per piacere, la fidanzata che teneva, una dell’alt’Italia che si erano conosciuti all’università, poteva rimanere a dormire, chè avevano cercato di sistemarsi nella case di parenti e quelli che li conoscevano, ma mancava nu posto; e diceva che lui si fidava di me, e, soprattutto, di lei, e lo faceva piacere se la facevo dormire qua, che, poi, la mattina presto, se la veniva a prendere. Dopo tanta tempo, so venuto a sapere che stavano d’accordo tutti quanti e che mi volevano fare uno scherzo, che io, secondo lu ragionamento che si avevano fatto, dovevo fare na brutta figura colla uagliona, che era bella veramente, e lei , poi, li doveva fare ridere a tutti quanti, quando ce lo raccontava, chè io ero un cafone che non sapevo stare co ‘na femmina così. Fatto sta che, pure se me lo sentivo che non era normale che stava succedendo, pure pe’ non fare la figura di quello che non è generoso coi vecchi compagni della scuola, ho detto sì. Devo dire la verità, sapeva fare bene la parte, perché non mi faceva accorgere di niente; mi ha pure aiutato a fare i piatti e a pulire a terra. A un certo punto, proprio com’hai fatto tu, stasera, mi ha domandato se ci potevamo sedere, se non tenevo molto sonno, sul divano, che potevamo stare più comodi, e potevamo parlare nu poco. Non te lo puoi immaginare quanta sudore freddo che ho cacciato, tanto non mi sentivo rilassato vicino a quella femmina. Ho cominciato a pensare che non sapevo che dovevo dire… che stavo per fare na brutta figura, che domani si mettevano tuttu quant a ridere dietro a me, e tenevano pure ragione, anche se io non lo sapevo che stavano d’accordo, e lo stesso, tenevano la capa di ridere dietro alle spalle mie. E pensavo che la letteratura non mi ricordavo niente, che poco sapevo, pure quando me la ricordavo; che no mi ero mai imparato ‘na poesia…che non sapevo i nomi delle canzoni e i cantanti… Che non sapevo dire di che marca era ‘na machina…. e non sapevo i fiori, i profumi… Chè ero stato a poche parti e non mi veniva niente da dire, chè mi sembravano che erano posti com’all’altri.. E il sudore freddo che tenevo si faceva a ghiaccio e mi stavo accorgendo che la cosa brutta non era che, poi, domani, quelli mi sfottevano che ero un cafone, ma che mi sentivo io che vedevo le cose diverse e che io non sapevo stare co una bella femmina. Ma la giovine, che sicuro se n’era accorta che non mi sentivo bene, s’era avvicinata di più e mi prese la mano colle sue piccole e bianche bianche. Era la prima volta che vedeva ‘na mana tanto grande e tanto dura, dicette; e me l’accarezzava come ‘na piuma morbida. E poi ha toccato lu polso, che teneva il segno bianco dell’orologio, che me l’ero levato per fare i piatti… Tu non ti puoi immaginare quanta cose che m’ha imparato… Io non l’avevo mai saputo che tenevo i deltoidi… e i tricipiti… e i quadricipiti… E toccava, toccava, chè mi voleva fare capire bene dove si trovavano e la forma che tenevano…. Mi ricordo, che, a un certo momento, mi credevo che era dottoressa…
Ma è inutile che ti racconto tutte cose, è vero? La mattina presto, è venuto a prenderla quel simpaticone del zito; appena ha aperto, che lei già stava pronta, che sembrava che se ne voleva scappare, come se aveva fatto una cosa che, mo, stava pentita, Antonio teneva la faccia che rideva; ma, dopo mezzo secondo, già la risata l’era passata… Certo, pensai a quel momento, che quando due si vogliono bene, non tengono bisogno di parlare assai. M’hanno salutato, che non ho capito che m’hanno detto; se mi ringraziavano o arrivederci. Non l’ho visti più. Poi, sono venuto a sapere che stavano già fidanzati ufficialmente, e già stavano vedendo per lo sposalizio, ma dopo uno due mesi si avevano lasciati.
Mbè!? T’ha fatto divertì la storia?... Mi pare che tieni la stessa faccia da cadavere di prima… Non m’hai risposto, però: chi è la uagliona che ti sei messo molto tempo a salutarla? Ho visto che ti manteneva la mana come a quella che t’ho raccontato. E’ la fidanzata nuova, che m’avevi detto qualche cosa, dì la verità… E’ dell’alt’Italia pure lei? E quant’anni tiene… a me mi sembra che è un poco più grande di te… Che ti voglio dire, figlio mio… che ti posso dire? Io sto quasi sempre sulo, qua. Non lo so che ti posso consigliare; e non ti credere che non ti ho capito, che ti sei fatto vedere apposta vicino a lei, così io capivo e ti dovevo dire che cosa penso, se mi sembrate che andate bene, insieme, oppuramente no. Tu lo sai, che sono uno all’antica; che er’all’antica, pure se nascevo mill’ anni fa o fra mill’ anni… Che la capa è tosta ed è difficile che cambio pensiero… Ma non mi permetto di dire niente, chè nemmeno io so sicuro che tengo ragione, a ragionare come ragiono io… E ridi nu poco, mè! Una cosa penso che te la posso consigliare: assicurati che no’ dice buscie. Che se è busciarda t’arrovina l’esistenza. Quella ha fatto mezza vita sua, già. Mò, li piaciono le mani tue… ma se dice che mai aveva provato una cosa così ed è sicura che dovete stare sempre insieme, perché tutto lu tempo, fin’a mo, è come se non è esistito e si sente come se tu sei il più primo della vita sua… Statt’attento: non ci credere… Che non può essere mai, che no’ s’arricorda… nu cazz!
Contadino della sua terra