Foto di Sebastiano Bongi Toma
Parliamo oggi di poesia e canzonette. Era tanto che volevo parlare di Enzo del Re. Al contrario, Roberto Vecchioni non lo classificherei tra i poeti, semmai, senza volere offendere, tra gli insegnanti di scuola media di poesia, assolutamente deleteri, in tutti i sensi, perché in un primo momento allontanano i ragazzi da un pratica tra le più antiche e nobili, sia a causa della poca severità con la quale la insegnano sia a causa dell’abbassamento del valore poetico alla propria quasi sempre moderata intelligenza di professori-poeti. Più o meno.
Per non mandarla a dire, a Sanremo non ha vinto la poesia, ma un professore di poesia, che è diverso, molto diverso. Vecchioni, che sappiamo tutti ha scritto canzonette belle come Luci a San Siro, non è Leonard Cohen, e se è per questo non è nemmeno Tricarico, che se proprio volevano far vincere la poesia stava lì a portata di mano, pur con una delle sue canzoni meno riuscite (se volevano far vincere la più bella canzone, cosa che non succede mai, facevano invece vincere i La Crus).
Hanno voluto far vincere Roberto Vecchioni, ritengo, perché rappresenta la poesia controllabile, affidabile, strumentalizzabile. Non per caso il cantante professore si è affrettato a dedicare la vittoria alle donne e alla società civile.
Da tempo penso e in qualche modo so che lo show business italiano è tutto in mano a poteri che cercano di orientare la pubblica opinione a favore di valori che sottostanno ai loro interessi, anche quelli poco trasparenti (tutti sanno che la cosiddetta camorra sta dietro al successo di alcuni artisti napoletani, essendo che ne hanno finanziato la nascita e, in alcuni casi, siamo venuti addirittura a sapere che piccoli boss sono autori di canzoni degli stessi artisti oramai di fama internazionale). Il mio dubbio è che la canzonetta di Vecchioni non sia solo una canzonetta, che nasconda infatti contenuti noti solo in certi circoli, contenuti prodotti e diffusi a fini propagandistici. In questo senso, secondo me, uno dei capi mandamento della canzonetta italiana, Mario Luzzatto Fegiz, sul corrierone dei poteri a posto che non se ne può parlar male, semmai parlar male del capitalismo puzzone... classificò primo Vecchioni il giorno dopo il debutto sanremese. Dico contenuto criptico nel senso che la canzone probabilmente dice a chi deve ascoltare, immagino a fin di bene, cose che a noi comuni immortali sfuggono. Un po’ come il Viva Verdi del periodo insurrezionale, che voleva dire, come sappiamo tutti, viva vittorio emanuele re d’italia. Già ieri si cominciava a scrivere che non si sa a chi è riferito il bastardo che sta sempre al sole contenuto nel mediocre testo avvolto nella parola AMORE. Anche Benigni, il re dello show business embedded, parla sempre di amore, facendo stranamente finta di ignorare, da praticante di Dante Alighieri, ciò che diceva un secolo fa lo studioso Luigi Valli nel suo “ Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore “, cioè che quando Dante e i poeti dello stil novo parlano di amore, è alla loro difficile militanza politica che si riferiscono, non certo alle belle donne di cui da sempre si innamorano vano o invano i poeti medesimi.
Passiamo alle canzonette-poesie. Quando vedo e leggo questi poeti di ora lamentarsi che i loro libri vendono poco perché, adducono, la poesia non interessa più a nessuno, mi irrito. Qualche volta dico loro pazientemente che non è possibile togliere la poesia al popolo, nemmeno l'arte, purché sia stata prodotta per loro, come una qualunque cattedrale. Infatti, i ragazzi si ripigliano ciò che gli viene maldestramente tolto dalla porta scuola, rientrando dalla finestra canzonetta, ascoltando di brutto i cantanti poeti, nostrani e foresti, primo fra tutti Fabrizio De André.
Ma se di poesia nelle canzonette vogliamo parlare, bisogna parlare dei più bei dieci minuti della tv nel 2010. Mi riferisco alla partecipazione di Enzo del Re al concertone del primo maggio. Solo in scena, cantando a cappella, accompagnandosi col battito delle mani su una sedia, il vecchio ragazzino riuscì a emozionare centinaia di migliaia di persone in piazza e non so quante davanti al teleschermo, io tra questi che ignoravo l’esistenza dell’artista pugliese. Mi pensavo che i giornali di sinistra, nonché i programmi tv attribuiti alla sinistra culturale, si affrettassero a recuperare il tempo perso per far diventare Enzo del Re, in poche settimane, un poeta conosciuto da tutti come evidentemente merita, del resto chissà da quanti anni. Invece no, miserabili come e peggio di sempre, hanno taciuto, a dimostrazione ancora una volta che sono prima di tutto loro ad affossare la cultura, oscurando qualunque gesto artistico contenga naturale vitalità, magari collegabile a immaginari e bisogni popolari. Perché?